giovedì 26 marzo 2009

Ritorno al porto

Mentre Lomo mi inquietava le orecchie, nel buio, avvolto tra pieghe ormai calde di una coperta, sentivo come un soffio d'aria fresca tra i capelli. Ma la finestra era chiusa.

Risveglio incerto stamattina, troppe cose nella testa, troppo poco propense a lasciarsi afferrare. Una giornata grigia, discorsi soliti, qualche novità di poco conto. Poi, sul tram verde immerso dentro a un primo pomeriggio soleggiato e ventoso, l'incontro con l'incompetenza di un controllore canuto che decide, in cuor suo, che sia meglio chiedermi un documento e compilare con precisione quasi maniacale, mista a un malcelato sadismo, una simpatica contravvenzione, piuttosto che lasciarmi il tempo di trovare il biglietto, finito in una tasca del portafogli che nemmeno sapevo di avere. Non mi preoccupano i soldi, figuriamoci, qualche film al cinema in meno. Ma la mia buona fede, quella sì.

La notte è diversa, per fortuna. Si avvicina un nuovo weekend, sempre alla ricerca di emozioni nuove: l'interrogativo invariato, arriveranno oppure no? L'ultimo sabato non è stato usuale, devo ammetterlo. Mattina breve e assonnata, pomeriggio violento e rassicurante, serata allucinata e adrenalinica. Proprio quello che ci voleva per smorzare malumori accumulati e affrontare quelli venturi. Un pezzo strumentale mi parla con logorrea e prolissità, molto più di quanto possa fare un brano punk o rap, mentre ripercorro discussioni surreali e immagino processi mentali che forse non mi è concesso di capire fino in fondo. Mi chiedo, al di là di tutto, il motivo per cui io sia stato colpito duramente e spento definitivamente, proprio da chi mai avrei avuto il coraggio di sospettare. E mi consolo, spiando ancora una volta emozioni in comune col carnefice, perché non sono l'unico ad aver perso, anzi, forse non sono nemmeno quello che a conti fatti perderà di più. Che bello.

E' mia la guerra, è mia la resa?

domenica 15 marzo 2009

Nostalgie (parte II)

Yamanote, Edo
1672, Kisaragi 2

Arriveranno, sono sicura. In questi ultimi tempi le cose sono cambiate in modo così rapido da non lasciarci nemmeno il tempo di pensarci su in modo serio. Molti in paese sono preoccupati, anche mio nonno. Mi dice spesso di non uscire di casa, soltanto se è urgente. Ma a volte capita che devo andare al pozzo a prendere l'acqua, oppure al mercato, o che devo recarmi da Kumitsu, nella parte alta della città dentro le mura, per badare ai suoi figli quando è via. Sono diversi mesi che vado, ogni due giorni circa, mi paga qualcosina e i soldi ci servono. Dovremo spostarci verso Tsukiji, lì il lavoro non è un problema, e questa inutile guerra sembra che non si spanderà fin laggiù. Eppure, riesco lo stesso a non lasciarmi prendere dall'ansia nonostante questa minaccia sempre più concreta che potrebbe giungere fin qui e spazzarci, nel tempo di un kashiwade, e altrettanto velocemente proseguire oltre. Io non ho paura, se devono arrivare, che arrivino.


Yoshino, Nara-Ken
1672, Yayoi 23

In un attimo di sosta durante questa lunga ed estenuante marcia, ne approfitto per riportare gli avvenimenti degli ultimi tempi. Mio nonno era felice, dopo aver incontrato Matsuo Bashou in persona. L'abbiamo incrociato, perché era diretto dalla parte opposta, verso Edo. L'ho visto di sfuggita, in realtà, poiché potevano entrare soltanto gli uomini nella sua tenda. Deve avere una grande stima nei suoi confronti, mio nonno; mi ha persino riportato un rotolo, racchiuso in un cilindro d'avorio riccamente decorato, su cui sono scritti dei versi, di pugno dell'autore stesso: "kashi no ki no, hana ni kamawanu, sugata kana". Me l'ha dato e l'ho ringraziato, sapevo che per lui significava tanto. Poi siamo dovuti ripartire, perché non avevamo tempo per fermarci, dovevamo proseguire. A tutt'oggi ci stiamo muovendo verso nord-est, le guide dicono che non manca poi molto, ci rincuorano tutto il tempo. Mio nonno è molto stanco, a volte lo faccio appoggiare un po' a me per alleviargli la fatica, anche se lui spesso fa l'orgoglioso e mi dice di non preoccuparmi. Ci sono dei giorni che marciamo anche per più di dieci ore, non c'è tempo, non c'è più tempo.

martedì 10 marzo 2009

Nessuno te l'ha chiesto

Il tempo fa il suo corso. Semplice e banale.
Farmi del male non è più una priorità. Magari un passatempo saltuario, da praticare con moderazione, di tanto in tanto.
Nelle mie lodevoli e disprezzate iniziative, finalmente trovo il senso di tanto penare. Niente è davvero inutile, in fondo.
Sorrido e conservo le lacrime indolori per celebrare quello che mai sarà.
Mi capisco molto più nei pressi della scelta che perso nei sogni.
"Yes. Everything's alright."

mercoledì 4 marzo 2009

Divenire

I giorni passano veloci, ora.

Ascolto Einaudi nelle cuffie bianche, col filo sotto la felpa nera, aspettando dentro un tram verde, nel grigiore di una mattina immersa di nebbia e umidità, che il tuo sorriso mi riaffiori sempre più nitidamente in testa. E ti penso, tra canzoni e odori di gente in viaggio, come me.

Non avrei mai creduto che gli eventi e le situazioni vissute nelle ultime settimane potessero realmente arrivare e bussare, così all'improvviso, alla soglia della mia piccola sconosciuta porta, e prendermi e scuotermi e trascinarmi. Colpito, lo sento, un po' bruscamente alla sprovvista, un po' in fremente e consapevole attesa, deciso a non perderne nemmeno un secondo, mi sono tuffato senza assicurare la fune all'ormeggio. Ora ascolto il rumore delle onde, del riflusso.

La fune cade giù, la vedo chiaramente. La parte arrotolata quassù, su questo grosso scoglio di cemento, si assottiglia sempre più. La cosa giusta da fare sarebbe quella di afferrarne l'estremità, prima che sia troppo tardi. La cosa giusta. Osservo immobile la corda, in fibra di nylon attorcigliato, cadere giù un po' alla volta.

Penso che ci sia poco da fare, e tanto da aspettare. Nella mia stanza il rombo di un tuono distrae la mia mente dalle difficoltà, contorce sensazioni, spiana per bene il posto a una nuova rassicurante calma. Il Twinings vanilla è troppo caldo, ma riporta miracolosamente il treno nei suoi binari di realtà e ricordi recenti.

Libri in spalla, scendo dal tram e inspiro a occhi chiusi aria gelida. Un oculista per queste pupille sempre dilatate, e magari già che ci sono tagliare un po' i capelli. E farmi prestare un quaderno di appunti delle lezioni di calcolo, nemmeno questo sarebbe un proposito poi tanto sbagliato. Non può esserci niente di più insensato adesso, niente di più stupido, di più incoerente, che seguire questa ovvia e ragionevole strada avanti a me, di asfalto, auto in fila nel traffico e bar semivuoti. Capire il mio ruolo sarà la sfida dei prossimi giorni, forse mesi. Sono pronto, pugni stretti, pelle d'acciaio intorno a un cuore di vetro.