sabato 7 febbraio 2009

A1 (del Sole)

Leggevo una cosa scritta di getto, circa quattro mesi fa, che mi ha fatto sorridere un po'.


Milano, 02/10/2008, 23:30
"E' tardi, domani devo alzarmi, che palle. Ci sarebbero molte altre banalità da dire. Ormai scrivere su di me sta diventando noioso, oltre al fatto di venire tacciato di egoismo. Scriverò qualcosa sugli altri allora, giusto per annoiarvi un po' meno, e poi è più di un mese che non scrivo nulla, quindi se vi siete già rotti di leggere che ci fate ancora qui, andatevene no? Dicevo, riprendendo il discorso (mai inziato) su questa insulsa città (come tutte le grandi città, non ci fate caso, sono io che amo la vita di campagna), vi narrerò quello che succede da queste parti. O meglio, quello che è il ritratto della gente che popola questa ridicola città. Carino il Duomo, devo ammetterlo, ma resta comunque ridicola. L'altro giorno tornavo su a Milano in treno e una signora seduta vicino a me faceva ritorno a Lodi dopo essere stata un mese dai genitori ormai anziani in Puglia. Come potete vedere mi ricordo tutti i particolari, strano visto che non ricordo cosa ho mangiato ieri sera. Beh, questa qui prima mi guardava (sarà una ninfomane, oppure era semplicemente attratta dal mio seducente e accattivante aspetto fisico), poi ha iniziato a parlarmi di lei, della sua stupida vita, dei ritardi dei treni, delle tendine che si incagliano e ti arriva il sole in faccia, dei suoi sette splendidi cani, barboncini bianchi nani rasati alle zampe e sul dorso per farli sembrare vagamente delle goffe palle di candido pelo, eccetera. A un certo punto ha tirato fuori il cellulare per farmi vedere le foto dei suoi meravigliosi barboncini, con tanto di cornici coi cuoricini. Dico a lei! Sì, proprio a lei, se è una signora sulla quarantina che ultimamente ha viaggiato in Eurostar sull'Adriatica e possiede sette splendidi barboncini, si lasci dire una cosa: ma cosa diamine vuole che me ne importi dei suoi mostriciattoli abbaianti? Con tutto il rispetto per i cani, che adoro, ma quelli non erano degni di essere chiamati cani, facevano proprio pena, e non ho alcun rimorso nell'urtare la sensibilità di tutti i propietari di barboncini che stanno leggendo. Dunque, dicevo qualcosa. Ah sì, ma perché la gente crede che tutto quello che gli riguardi sia interessante? Bah. Non potevo nemmeno ascoltare l'i-pod con quella che mi continuava a parlare nell'orecchio, sotto lo sguardo di biasimo degli altri intorno a noi, costretto per mezz'ora buona ad annuire ad ogni sua frase. Ho ancora troppo tatto per dire a una signora lombarda amante dei barboncini che i suoi figlioletti non rientrano nella lista dei miei interessi e nemmeno in quella dei miei argomenti di conversazione. Non prendetemi per spietato, vorrei vedere voi in quella situazione. L'altroieri ero in autobus invece, non ricordo dove stessi andando di preciso, ultimamente giro parecchio. Un'adorabile vecchina si avvicina e incrocia il mio sguardo distratto, al che la mia coscienza di cittadino modello mi dice "cazzo fai là fermo, alzati e cedile il posto, cafone". Risposta: "no", secco, sibilante, contornato da uno sguardo quasi di disprezzo, di superiorità, di ego ferito, di persona "incazzata perché mi hanno dato della vecchia e il mio orgoglio non può tollerare un simile affronto". Ma allora vai a quel paese, scusa! Uno va per farti un favore e lo ripaghi con freddezza, distacco e senso di superiorità. E' normale una cosa del genere? Mi sarei accontentato di un "no grazie non ti preoccupare scendo tra poco", mica chiedo tanto. I tempi cambiano, diceva qualcuno che non cito perché non conoscete "o tempora, o mores". La prossima volta dirò "signora, se mi implora in ginocchio di lasciarle il posto a sedere perchè la caviglia non la regge più, l'artrosi le dà noia e le vene varicose iniziano a farle male, beh, forse se mi impietosisce abbastanza mi alzo, però dico forse, poi vediamo". Dove andremo a finire? In ogni caso basta con le cazzate, ho passato questo quarto d'ora abbastanza bene in fondo, ho scritto un po' di vaccate che a rileggerle tra un paio di centilioni d'anni faranno ridere i polli vallespluga. Notte a tout le mond!"


Ammetto che quello che pensavo allora, non è cambiato poi granché, la considerazione delle cose resta la stessa, forse con un pizzico di consapevolezza in più. Certe volte ripenso alla Capitale, così grande e sconfinata che ti ci puoi perdere con facilità estrema, ripenso ai soliti percorsi, al 409 dall'Arco di Travertino, al capolinea del 545 ogni mattina nel freddo della piazza a guardare il cantiere della metro sempre uguale e immobile, ai tram 5, 14 e 19, al Doner Kebab di Largo Preneste, a piazza San Giovanni stracolma di Maggio e alla fame chimica delle 3 di notte, ai cartelloni strappati della Prenestina, al notturno sempre strapieno di extracomunitari di ritorno a Centocelle, al calore del Sole anche a gennaio, agli scrosci improvvisi, al supermercato di piazza Malatesta, alla ragazza dell'Illy Bar, alla prima volta che ho fatto la fila in segreteria alla Sapienza, a qualche amico sparso da qualche parte, a via del Corso pullulante e fremente di vita, all'Obelisco e ai cinesi davanti al Colosseo, alla scalinata di piazza di Spagna e al muretto di fronte la chiesa dove ammiravi la cupola di San Pietro e ti sembrava di avere in pugno tutta la città, al Lungotevere e alle acque salmastre, al cinema e ai film visti a Repubblica, alla Footlocker sulla Tuscolana, al ristorante mongolo in via Regina Margherita, a Termini piena di tifosi scortati dalla polizia, alla gente che ti saluta senza conoscerti, allo smog e alle macchine che ti sfrecciano a due centimetri dal piede, alle code e ai semafori interminabili, alle ragazzine di quattordici anni in minigonna a Castro Pretorio che aspettano la metro per andare in discoteca alle cinque del pomeriggio e sentirsi un po' più grandi, ai giardini dell'università dove ogni tre secondi ti fermano per chiederti se hai una cartina e dove tutti si siedono per studiare, amoreggiare o sognare un'altra vita, alle storie sentite raccontare in giro un po' qua e un po' là, al centro sociale di Forte Prenestino, alle pozzanghere e agli uccellini che maledici per averti svegliato col loro cinguettio a mezzogiorno, al teatro di non ricordo più dove e al concerto dei Batxoki, al treno per Fiumicino e al Parco Leonardo e al Roma Est e ai negozi pieni di luci, a Cinecittà di notte e alla piadina di Ali Babà, alla metro nuovissima di Manzoni e al degrado all'Anagnina, all'Aniene che straripa in un giorno di pioggia sulla Nomentana, a Villa Borghese e quel profumo di gioia, alla sede della polizia di Trastevere e al 3 che non passa mai, alla stazione di Lunghezza e al grande raccordo, a quando ridi delle puttane su via Togliatti e poi pensi a quello che devono sopportare, all'Eur e al Palalottomatica, a via Giolitti e alle bici di fronte la caserma Sami, a piazza Vittorio coi ragazzini che giocano a basket, al Mastro Titta e alle sue cameriere, alle partite di calcetto giù al Bettini. A tutte queste cose. Adesso è solo la pioggia che mette tristezza qui, non più forte e decisa, ma leggera e fastidiosa, che ti entra negli occhi e ti punge la pelle. Però l'alba, il tramonto, il caffé caldo e un libro tra le lenzuola, quelli non può cambiarli nessuno.

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