domenica 8 febbraio 2009

Onirico

Mi chiamo Delirio, e questo è il sogno alquanto strano che la mia testolina ha deciso di partorire stanotte.


Ero in giro, non so bene dove, un marciapiede largo e frequentato, aria umida e vento caldo, avevo le mani in tasca e passeggiavo non troppo velocemente, per poter guardare bene le vetrine dei negozi. Pomeriggio inoltrato con poca luce, venditori di ombrelli, bancarelle imbottite di cianfrusaglie che la gente si limitava a guardare mentre passava. Apro una porta scura con una grande maniglia di ferro, come se già sapessi perfettamente dove mi stessi recando. Vedo un bancone, due signori dietro, ognuno davanti a un monitor. "Che strano posto, così artificiale" ho pensato; l'ambiente era piuttosto piccolo, con due grandi lampade di luce bianca che pendevano dal soffitto e creavano un'atmosfera strana. Mi avvicino, tanti cellulari nelle teche davanti a me, conservati sotto vetro quasi come reliquie. Un signore mi sorride dicendomi "posso esserle utile?". Cercavo un telefonino, gli dico questo, più o meno. Gesticolo un po', per fagli capire meglio cosa voglio intendere, evidentemente non sapevo bene il modello quale fosse. Mi fa vedere un telefono che prende da uno scaffale, lo ricordo bene, è Nokia, tutto nero opaco, modello slim a scorrimento, con la tastiera numerica nascosta quando è chiuso (chissà se esiste sul serio, ndr). Guardo nella scatola, ci sono le istruzioni, il manuale da cento pagine, la custodia, il carica-batteria, manca l'auricolare però, e glielo faccio presente subito. Ne tira fuori uno sempre della stessa marca, color argento, e mi dice che può essere mio a soli ventiquattro euro e novanta centesimi in più. Ci penso su qualche istante, poi annuisco. Intanto l'aria si fa pesante, quasi opprimente. C'è qualcosa che non va, è il mio presentimento. Il tizio, sulla trentina e vestito piuttosto elegante, prepara la scatola, la chiude, mette nella busta anche l'auricolare acquistato a un prezzo bomba, insomma, la procedura standard per vendermi il prodotto. Resto lì, aspetto, mi guardo in giro, mobili rossi, sembrano come verniciati di recente. Di fianco alla cassa, l'uomo poggia la busta con il cellulare, sempre restando seduto, con gli occhi fissi sul monitor del suo computer. "Quanto viene?", gli domando. Nessun responso. Ripeto la domanda. Lui è immobile, fisso in quella posizione. Non muove un muscolo del suo corpo. Alzo la voce, ma nemmeno questo sortisce alcun effetto desiderato. Cerco risposte, invano, e mi accorgo che anche l'altro ragazzo è immobile. La loro pelle è liscia, lucida, come fossero delle statue. Prendo lentamente coscienza della situazione, faccio un passo indietro, il terrore mi attanaglia. Solo mura intorno a me, anche la porta da cui ero entrato non c'è più.


Mi sveglio nel mio letto, inquieto. Premesse: non cerco nessun telefono, anzi, mi trovo benissimo da oltre un anno con il mio N70 ipertecnologico; non ho mai visto quei posti e quelle persone, o forse semplicemente non li ricordo; erano anni che non ricordavo un sogno. Ho dovuto ripeterlo più volte questa mattina, nella mia mente, per poterlo fissare bene e non dimenticarlo; altrimenti, tutto sarebbe stato vano. I miei sogni, quelle rare occasioni in cui la mattina ho qualche immagine ancora nella testa, svaniscono con una rapidità inaudita, lasciandomi un po' con l'amaro in bocca, con la colpa di essermelo fatto sfuggire, con la consapevolezza che non tornerà più, con la curiosità che non sarà mai appagata. Chissà qual è il significato di questo, sempre se ne ha uno. La prima cosa che mi viene da pensare è: tentare una meta, un obiettivo, e sul più bello non riuscire a raggiungerlo. Una situazione spiacevole e frustrante, in effetti. La sensazione di sentirsi in trappola, chiusi in una gabbia avulsa dalle proprie sicurezze. Una metafora della mia vita, o c'è dell'altro?

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