venerdì 22 maggio 2009

Cristallo

Tempo. Tempo è ciò che non riesco a dominare. Dicevi che le risposte sarebbero arrivate assieme alla primavera, con lo sbocciare dei fiori e il canto armonioso degli abitanti del bosco. Il sentiero di ciottoli e fango fresco avrebbe annunciato il nostro passaggio nell'aria ancora umida, col suo ritmico scricchiolare, passo dopo passo. L'arrivo del buio forse non sarebbe stato affatto lugubre con te, che mi avresti guidato in profondità tra le nuove sconosciute ombre, sicura e confortante. Qualcosa, qualcuno, per non permettere che mi perdessi, sarebbe rimasto a vegliare, a parlarmi di tutto quello che mai e poi mai avrebbe potuto ferirmi, per non lasciare che mi rompessi. Un sorriso, e la luce non avrebbe più potuto trovare ostacolo abbastanza insormontabile, se solo avessi, avessimo voluto. Ma ho visto la mia fine perché hai aperto gli occhi troppo presto: lo so, non sapevi che anch'io vedevo con quelli. Amo ricordarti così, gaudente e libera, tra le bellezze che non ho mai visto, tra quei suoni che non sono più riusciti a spezzarmi il respiro, tra gli odori che non mi hanno ancora invaso l'anima tanto nel profondo. Mi spezzo in un istante di pura gioia, solo per te, per nessun altro ormai. E se capita che la luce mi colpisca, addirittura risplendo, acceco, prima di spegnermi per l'eternità.

mercoledì 13 maggio 2009

Che c'è di sbagliato in me?

Quando ero piccolo suonavo l'organo che c'era in casa che tutti dicevano che era di mio fratello anche se in realtà non era suo ma semplicemente era lui che aveva suonato con quell'organo tanti anni prima quando andava a scuola di musica e allora per questo motivo tutti dicevano che era il suo. Io volevo che fosse il mio e mi piaceva perché c'erano tante musiche belle da mettere ed era facilissimo perché bastava premere un tasto e partivano subito e tu eri lì e le ascoltavi e mentre lo facevi potevi anche premere i tasti bianchi e neri per suonare. I tasti colorati appunto erano melodie già registrate e potevi usarle come basi o come accompagnamento quando suonavi tu e non erano dello stesso colore ma c'erano quelli gialli quelli verdi e tanti altri ancora. Poi c'erano due grossi pedali neri sotto ma io non li usavo mai perché non li sapevo usare anche se ci avevo provato a usarli ma non mi era sembrato che il suono cambiasse granché e allora da quel giorno in poi non li ho più toccati. Erano sicuramente più belli tutti quei tasti bianchi e neri in fila che formavano un disegno che si ripeteva sempre uguale ogni sette tasti bianchi e non ricordo più ogni quanti tasti neri forse cinque chissà. Comunque gli strumenti che mi piacevano di più erano banjo e cello perché mi piaceva il loro suono infatti potevi anche cambiare strumento oltre a far partire le melodie ed era proprio il banjo quello che mettevo di più. Il tasto per accenderlo era nero e rotondo e bisognava girarlo e io certe volte ci giocavo girandolo prima a destra poi a sinistra poi di nuovo a destra così l'organo si accendeva si spegneva eccetera e un giorno mio padre mi rimproverò perché mi disse che se facevo così potevo romperlo e poi non avrei più potuto suonare ma io ho continuato a giocarci lo stesso quel giorno e infatti non si è rotto però poi non ci ho giocato più in quel modo perché ho pensato che era meglio non rischiare. Una volta mentre suonavo la corrente andò via ed io ero triste perché non potevo più suonare. Poi sono cresciuto e mio fratello mi ha regalato il suo vecchio nintendo col tetris e altri videogiochi del basket o dei fantasmi e poi mi ha regalato anche la playstation perché mi aveva detto che se non facevo arrabbiare mamma me la regalava e io ho fatto il bravo mi lavavo sempre i denti e non facevo capricci a tavola per le verdure e la sera per andare a dormire presto e quindi alla fine me l'ha regalata e io l'organo non l'ho acceso più e mio padre dopo un po' l'ha portato su in soffitta e adesso è lì e io ho paura che sia triste per colpa mia perché nessuno lo vuole più a parte la polvere.

venerdì 8 maggio 2009

Ad occhi chiusi

Aspetto ancora una tua telefonata, A., da quasi tre anni. E non riesco proprio a convincermi che non ritornerai più. Dovevi almeno avvisarmi prima di sparire, diamine, avresti dovuto farlo.
E ho persino paura ad entrare in quello stramaledetto bar. Ogni volta che torno a casa, dico che forse è arrivato per me il momento di levarmi questo dente, ma in questi tre anni ne sono successe di cose, cara A., ed io in quello stramaledetto bar ancora non ci ho messo piede. Autunni e inverni e temporali e notti di stelle cadenti, evidentemente non dipende da loro. Evidentemente il problema è un altro. Dico anche che non me ne importa granché: sarà semplicemente una paura stupida di scoprire che forse, e dico forse, sarebbe stato meglio restare col dubbio acceso.
Eppure sono così bravo a parlare con la gente assicurando loro che "credo che la cosa migliore sia cercare di vivere in modo da non avere rimpianti". Invece la realtà è un'altra: sono un cagasotto. Con cognizione di causa e presa coscienza di tutte le sfaccettature del termine e di tutto ciò che può comportare concretamente nella mia vita sociale, lo affermo convinto e con prove alla mano, ma fortunatamente sono abile a non farlo, e farmelo, pesare più di tanto.

Poi, poi, due piccole puntualizzazioni che mi sembrano doverose, di questi tempi.
Tu, sfrontata sfacciata che non sei altro, che ne approfitti della mia cordialità per prenderti confidenze pericolose. Non chiamarmi più Cicciobello, che neanche ci conosciamo. E non ripeterlo con insistenza: conosco le tipe come te. Almeno potevi dirmi il tuo nome, prima. Ma lo so lo stesso come ti chiami, cosa credi, che non ho usato i miei potenti mezzi per cercare informazioni sul tuo conto? E non esaltarti, è stata solo una semplice curiosità che ho voluto levarmi, niente di personale. In fondo non ce l'ho con te, però stai molto attenta. So che sei fidanzata, quindi evita di fare l'oca con me, che non attacca.
E poi tu, che riemergi dal passato in questo modo brusco. Anche su di te ci sarebbe da dire molto. Perché non riesco a decifrarti? Questa cosa mi infastidisce alquanto. So talmente poco di te, che potrei scriverci un intero libro di fogli bianchi e dargli il tuo nome come titolo. Sei bellissima, non c'è alcun dubbio, lo penso da un anno e mezzo ormai, di quella rara bellezza che sa d'innocenza e di cocenti delusioni. E sembri anche una persona interessante quanto basta per non annoiarsi, ma non ho approfondito in questo senso, sarebbe inutile sprecarci parole. C'è di te quell'aria introversa, quella timidezza così pura e quello sguardo che ha il sapore di un segreto celato chissà dove, che mi fa addirittura riconsiderare nel quadro apparentemente immutabile delle scelte della mia vita, una delle più importanti. Che non sia la molla in grado di spingermi davvero a cambiare molte cose scomode? O forse è solo il temporaneo momento d'euforia inconsapevole.

Spore d'incanto al recente concerto dei Marlene Kuntz. La poesia l'ho sentita scorrere dentro di me, seppure per poco tempo, come fosse un dolce supplizio di pelle strappata e tirata via con la forza per mettermi a nudo, inerme e fragile. E tremante, di vibrazioni calde e malinconiche. Un gioco da ragazzi nuotare a occhi chiusi nell'aria pesante, pronta a crollarmi addosso senza sapere quando. Mi sono sentito schifosamente solo, più piccolo di niente e con l'oceano intero in una mano, pronto ancora una volta a emozionarmi nel profondo. Grazie.

Qualche giorno fa, la sconfitta: ma l'ingenuità è destinata a terminare. Lo so.