domenica 15 febbraio 2009

Marco e Giulia

- Zitto! E' il suono della pioggia che sta battendo sul vetro. Zitto.
- E tu per questo mi hai detto di fare silenzio?
- Ascolta! Senti come ticchetta ora.
- Ma...
- Chiudi gli occhi! Che ti sembra?
- Ma... non lo so... è come... il rumore delle unghie di una mano... è un ritmo... fai caso alle pause, alle riprese...
Un secondo dopo si era già avvolta nelle coperte, e lo guardava incessantemente, da là sotto. Soltanto la testa spuntava fuori, aveva i capelli legati. Gli sorrideva, e agli angoli degli occhi si era accesa quella solita luce che lui bramava tanto. Non le disse cosa gli frullava per la testa, no. Forse l'avrebbe strappata via dal suo viso, se solo avesse potuto, quella luce, con le sue stesse mani.


Giulia non si è più voltata indietro, quella mattina. Continuava a camminare lungo il sentiero cosparso di foglie secche, ascoltava il vento che le sussurrava, sentiva nel petto una strana emozione. Mentre schiudeva le labbra secche, inumidendole con la punta della lingua, la sensazione di avere un nodo in gola si impadronì di lei in un attimo.
- Ti aspetto alla solita panchina, alle dieci in punto. Ci sarai?
Ripassava queste parole nella mente confusa, allontanandosi sempre più da quella panchina verde un po' speciale, magica. Perché lui non c'era? Cosa poteva essere mai successo? E mille altri interrogativi la angustiavano. Aveva la fronte corrugata, l'espressione malinconica e accigliata. Per non pensarci, aveva iniziato a contare i passi. Ventuno, ventidue. Tutto inutile. Dopo aver emesso un lungo sospiro, e respirata l'aria frizzante del parco, era tornata al suo motorino, parcheggiato lì un'oretta prima. Quasi senza volerlo, senza accorgersene, si era ritrovata proprio in quel punto esatto. Si stringeva tra le spalle, mascherando con disinvoltura il disappunto, mentre con estrema cura toglieva e avvolgeva la catena. Casco, chiavi. E la strada verso casa, amica di centinaia di viaggi e ormai così familiare per lei.


Era felice, così felice di rivederla. La osservava nel suo silenzio, sentiva che c'era un'atmosfera particolare. Dille qualcosa, e anche subito, si intimava da solo.
- Posso spiegarti per ieri, è che...
- Te l'ho forse chiesto?
Era rimasto interdetto. Sentiva i sensi di colpa che come mannaie affilate gli laceravano la carne, strappandogli i vestiti di dosso e lasciandolo nudo e inerme di fronte a lei. Avrebbe voluto fare qualcosa di bello in quel momento, per riscattarsi, qualcosa che lei avrebbe potuto apprezzare davvero. Vorrei avere la capacità di aggiustare le cose con la stessa abilità con cui invento scuse pietose, si era detto. Sentiva nel suo tono secco e leggeva nel suo sguardo indurito note di insofferenza poco piacevoli. Dovrò cominciare ad essere anch'io così intransigente con me stesso, pensava. E intanto la guardava con l'aria di chi è innocente ed è stato frainteso.
- Marco, si può sapere che hai?
Non aveva replicato a quella domanda. Dopo tutto, lei era così, e lui lo sapeva bene. Erano così simili, eppure ogni volta riusciva a stupirlo. Ogni volta si meravigliava, perché lui avrebbe dovuto prevederla, avrebbe dovuto capire e anticipare le sue mosse, ma più passava il tempo e più si rendeva conto di non conoscerla così bene come si aspettava. Non aveva detto nient'altro, l'aveva abbracciata, cingendole entrambi i fianchi piuttosto mollemente, senza forzare. La sentiva che lentamente si abbandonava al suo gesto. I loro corpi tiepidi si erano avvicinati, ed entrambi avevano sentito il calore dell'altro aumentare e farsi più concreto. In piedi di fronte la facciata di quel palazzo antico, per lunghi attimi avevano smesso anche di respirare. Con i gomiti e gli avambracci sul suo petto, allontanando il busto e inarcando la schiena all'indietro, si era messa a guardarlo con intensità, mentre ancora le mani e le braccia di lui le attorniavano l'addome, sorreggendola in equilibrio e permettendole di sbilanciarsi.
- Devi dirmi qualcosa?
- Mi fai impazzire.
Di getto, senza nemmeno pensarci un secondo di più, le aveva risposto istintivamente. Subito dopo aveva abbassato la testa per baciarle dolcemente il dorso di una mano che Giulia aveva poggiato candidamente sul suo collo, suscitando in lei un leggero imbarazzo. Vedeva chiaramente che stava arrossendo poco a poco, accorgendosi anche che aveva iniziato ad accarezzargli una guancia con la stessa mano, come per contraccambiare. Era come inebetito da quel gesto d'affetto, e la guardava così teneramente da costringerla, dopo alcuni secondi di sospensione, ad abbassare gli occhi a terra. Ora si accorgeva fino in fondo di quanto fosse bella e di quanto realmente potesse piacergli, ad un livello che non si sarebbe mai immaginato: trovava sfumature, particolari che al tempo stesso erano per lui entusiasmanti e terrificanti. Perché si sentiva quasi atterrito, capiva che scavando a piene mani nella sua bellezza avrebbe trovato alla fine della sua ricerca lo sgomento e la consapevolezza di essere totalmente assoggettato a lei, completamente in suo potere. Perché ne era spaventato, e affascinato. Guardava i suoi capelli scuri mossi dal vento leggero e illuminati dal sole, le fossette delicate ai lati della bocca che nascevano ad ogni suo sorriso, il chiarore appena accennato delle morbide guance. Non ci sarebbe stato nient'altro che quest'immagine di lei nella sua mente per i successivi, interminabili minuti che avrebbe passato al suo fianco. Cominciava anche a chiedersi se fosse davvero innamorato, stavolta. Non può finire sempre male, non stavolta, rifletteva in cuor suo. Lei gli sorrideva e indugiava con lo sguardo sulla sua bocca, rievocando il pensiero di un bacio violento e coivolgente, come le piaceva tanto riceverne. Marco lo sapeva bene. Sì, aveva proprio voglia di baciarlo in quel momento, ma si stava trattenendo. Forse voleva fargli pagare qualcosa.


- Fatti vedere meglio!
Nel frattempo si allontanava di qualche passo. Era così alto... Mentre si metteva sulla punta dei piedi, si accorgeva di arrivargli soltanto al mento. Vedeva bene la sua barba rada, la pelle imbrunita dal sole, molto più abbronzata della sua. Il suo viso tondo, un sorriso gentile appena accennato, gli occhi castani, allungati, tenuti socchiusi, e quella piccola cicatrice vicino al labbro su cui era solita fantasticare tanto. Con la coda dell'occhio si era accorta che lui stava allargando le braccia e alzando le spalle, in un gesto continuo, pacato e armonioso.
- E che devo fare? Non mi muovo, sai.
Rise sommessamente, e non smise di sorriderle nemmeno per un momento. Era buffa quando si comportava in modo strano, pensava lui.
- Non li metto i tacchi per uscire...
- Te l'ho forse chiesto?
I loro sguardi si erano incrociati, si erano trovati per qualche secondo. Nessuno aveva desistito, o guardato altrove. Lui continuava a sorridere, lei era diventata seria dopo quelle parole, come se l'avessero fatta di colpo incupire. Perplessa, aveva inarcato un sopracciglio. In tutta risposta, lo osservò mentre serrava gli occhi e riprendeva il discorso.
- Ascolta, devo dirti una cosa. Una cosa che devi sapere...
- Marco, non mi interessa.
- Ma devi saperlo. Non voglio che tra noi ci siano segreti, e preferisco dirtelo io.
- Se ti fa star meglio parla. Ma non cambierà niente.
Lungo silenzio. Intanto aveva riaperto gli occhi. E scrutava Giulia, mentre cominciava a raccontare.

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